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A che servono le zanzare? Riflessioni sulla biodiversità

di Graziana Abbate

Biologa e docente di Scienze Naturali presso il Liceo Statale "Maria Montessori"


A che servono le mosche? E le zanzare? Almeno una volta nella vita ci saremo posti queste domande e, di certo, avremo sentito qualcuno farle. Anche per me è stato così. Agli esordi dei miei studi universitari, mentre affrontavo i primi laboratori didattici di zoologia, anche a me è capitato di pensare: “A cosa serviranno mai questi minuscoli organismi?”. Dopo il mio percorso di studi e diverse esperienze sul campo, potrei rispondere dando diverse spiegazioni evoluzionistiche o biologiche. Eppure, quello che mi interessa oggi è invitare il lettore a cambiare domanda e chiedersi: “come sarebbe il mondo senza ognuno di quelli che noi definiamo organismi insignificanti o senza senso? Cosa potrebbe succedere se ognuno di noi iniziasse ad eliminare specie animali o vegetali a proprio piacimento? Che rischio si potrebbe correre?”. Proviamo a fare un passo indietro.


La variabilità tra gli organismi viventi di tutte le forme, includendo gli ecosistemi acquatici, marini e terrestri ed i complessi ecologici di cui sono parte è ciò che oggi definiamo come biodiversità (Convenzione di Rio de Janeiro,1992). Il termine fu coniato nel 1980 da Lovejoi, Norse e Mc Manus, che in due articoli scientifici evidenziarono il valore della variabilità e la ricchezza delle forme di vita sulla Terra (Soulé et al., 1980; Norse & Mc Manus, 1980); ma, è solo nel 1992 che il concetto si diffuse enormemente, grazie al Summit tenuto a Rio de Janeiro. Da allora, numerose sono state le ricerche in ambito ecologico che hanno contribuito a conoscere e valorizzare la diversità biologica del nostro Pianeta. Quando si parla di biodiversità si può fare riferimento a tre sfere differenti: una diversità intraspecifica, cioè la varietà all’interno della stessa specie; la biodiversità interspecifica, ovvero la variabilità che esiste tra le numerose specie esistenti e, infine, la diversità ecosistemica, cioè la pluralità presente tra i vari sistemi ecologici. Per comprendere il significato dei tre livelli di biodiversità, potremmo fare un semplice esercizio mentale che, per un attimo, prende in considerazione solo gli organismi vegetali (Nicolini, 2019). Immaginiamo di stare seduti su un prato in piena primavera e osservare ciò che ci circonda. Inevitabile sarà lo stupore per la molteplicità di fiori, molti dei quali identificabili come appartenenti a specie diverse; staremo così apprezzando la diversità tra specie diverse (o biodiversità interspecifica). Dopo qualche minuto di osservazione saremo già in grado di raggruppare i fiori in categorie e in qualche modo riusciremo a identificare i principali gruppi. Sarà chiaro a quel punto che all’interno di ciascun insieme, ognuno degli esemplari avrà caratteristiche leggermente diverse dagli altri: stelo più o meno lungo, foglie più o meno seghettate, petali più o meno espansi. Questa è la biodiversità intraspecifica, favorita dal rimescolamento del patrimonio genetico tra gli individui, che appartengono alla stessa specie. Infine, confrontando la nostra porzione di prato con porzioni più o meno attigue, ci troveremo a osservare altre zone con caratteristiche diverse: zone arbustive, boschive, ecc., le quali evidenzieranno anche il terzo livello di biodiversità: la diversità tra comunità o tra ecosistemi.

Una volta illustrata tale distinzione, ponendoci in una prospettiva a lungo termine, possiamo affermare che la biosfera è più agevolmente sostenuta da una alta percentuale di biodiversità. Infatti, più gli ecosistemi sono ricchi e complessi più sono capaci di resistere alle perturbazioni o più velocemente reagire ad esse (D’Agostino, E. et al., 2019). Ogni specie ha chiaramente una modalità diversa di utilizzare le risorse naturali, di interagire con altre specie e provocare effetti differenti sull’ambiente circostante. Di conseguenza, se all’interno di un sistema ecologico cala drasticamente il numero di specie, calerà la possibilità che, all’interno dell’ecosistema stesso, ci siano specie cruciali per il suo funzionamento o specie che, con le loro caratteristiche, offrano vie alternative al flusso di energia e di risorse (Basset, Sangiorgio et al., 2016). Un chiaro effetto sarà l’incapacità dell’ecosistema di resistere a eventuali disturbi esterni.


Nonostante quanto detto, però, la modalità di pensiero che comunemente usiamo, ponendo l’uomo al centro del mondo, distoglie l’attenzione sul valore e sul senso di ogni organismo che popola il nostro Pianeta. Spesso, infatti, tale significato non è così evidente. È proprio questa incertezza che deve guidarci alla salvaguardia. Il non sapere deve spingerci a non perdere nulla. Così, come descritto nell’ “ipotesi dei rivetti” di Ehrlich & Ehrlich (1981), non sapremo quale potrebbe essere effettivamente l’esito di tale privazione. Gli autori paragonano i rivetti che tengono insieme la struttura di un aereo alle specie di un ecosistema e immaginano che alcuni rivetti, teoricamente inutili o superflui, vengano rimossi uno alla volta, senza nessuna attenzione alle conseguenze. Tuttavia, fino a quanto può andare avanti la sottrazione? Il superamento di un determinato valore soglia causerà immediatamente il collasso dell’aeroplano, così come la scomparsa di un determinato numero di specie, al di là di una certa soglia, sarà causa del collasso dell’ecosistema. Inoltre, è fondamentale sottolineare che nessuno è in grado di stabilire a priori quale sia la specie cruciale, che ha il ruolo di sorreggere tutto prima del crollo, né tanto meno quale sarà il momento del crollo.

In conclusione, sentiremo ancora la fatidica domanda “a cosa servono le mosche o le zanzare?”, ma a quel punto sapremo cambiare domanda e rispondere che anche senza una sola specie potrebbero non essercene altre e altre ancora. Sapremo, inoltre, cambiare punto di vista. Quell’insignificante specie non necessariamente dovrà servire a noi Homo sapiens. Molto più probabilmente sarà utile, necessaria, cruciale a mantenere in equilibrio, e quindi in vita, il nostro meraviglioso Pianeta Terra.


CURIOSITÀ:

Le specie di zanzare nel mondo sono circa 3500, di cui un centinaio solo in Europa. Questi insetti si nutrono per lo più di sostanze zuccherine, come nettare e melata, svolgendo un ruolo fondamentale come impollinatori. Invece, l’ematofagia, cioè il nutrirsi di sangue animale, è tipico delle sole femmine. Infatti, provviste di uno speciale apparato boccale, che permette di prelevare fluidi vitali, le femmine ottengono emoglobina e altre proteine necessarie a completare la maturazione delle loro uova.

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