EDITORIALE
- Redazione
- 6 giu
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Aggiornamento: 7 giu
di Emilia Sanci membro Consiglio Direttivo AC Scuola Montessori APS docente di Diritto ed Economia presso il Liceo Statale "Maria Montessori"
Cinquant’anni dalla riforma del diritto di famiglia: tra conquiste e ombre Cinquant’anni fa, il 19 maggio 1975, una legge cambiò radicalmente il volto della famiglia italiana. La riforma del diritto di famiglia sancì la parità tra i coniugi, abolì il concetto del marito "capo famiglia" anche rispetto alle scelte sui figli e riconobbe alla donna il diritto di decidere, di dire la sua, di vivere in piena autonomia. Fu un passaggio epocale, una conquista di civiltà oltre che la conclusione del travagliato processo di attuazione di un principio costituzionale rimasto astratto per quasi trent’anni, la cui previsione da parte dei Padri costituenti non aveva minimamente scalfito la cultura e il costume dell’Italia post-bellica, basati sul modello patriarcale di famiglia. La legge n.151/1975 intervenne quando la società era pronta ad accoglierla, affermando che uomini e donne erano finalmente uguali nella vita familiare, e da lì in avanti anche nella società. Quella riforma fu il frutto di anni di lotte, di rivendicazioni, di una nuova consapevolezza. Diede impulso a cambiamenti culturali profondi: le donne iniziarono a entrare nel mondo del lavoro, a rivestire ruoli pubblici, a prendere parola su ciò che le riguardava. In mezzo secolo, molte barriere sono state abbattute. E oggi, voltandoci indietro, possiamo affermare che molta strada è stata fatta.
Ma è sufficiente?
Le statistiche sugli episodi di femminicidio, sulle violenze fisiche e psicologiche che continuano a colpire le donne quotidianamente purtroppo ci indicano il contrario. Non serve andare lontano dal nostro quartiere per udire le urla silenziose che investono le nostre coscienze e ci ricordano quanto sia difficile estirpare del tutto una cultura del possesso che ancora persiste in alcuni. Una cultura che vede nella donna un “oggetto” da controllare, da punire, da annientare se osa scegliere per sé. Nonostante le leggi, nonostante l’educazione, nonostante i passi avanti. Vorrei, quindi, che questo importante anniversario non fosse solo un momento di celebrazione ma anche un’occasione di riflessione, perché la libertà delle donne non si difende solo nei tribunali o nei codici civili, ma nei gesti quotidiani, nel rispetto reciproco, nell’educazione impartita ai nostri figli. E proprio qui che entra in gioco la scuola, un vero e proprio laboratorio quotidiano di rispetto, di ascolto, di parità, dove imparare a riconoscere l’altro come persona, non come proprietà. L’amore non è controllo, la libertà non è una minaccia, un “NO” non può essere una condanna. Cinquant’anni fa abbiamo acceso una luce: sta a noi oggi fare in modo di tenerla sempre accesa.

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