di Andrea Fundarò
ex studente Liceo Classico
Era la primavera ne l’or che l’alba,
da’ freschi zefiri morsa dolcemente
indorando il ciel si fa men scialba; 3
e pria che ‘l sol saëttasse rovente
poggi, sentier, fiumi e cittati,
un vento già soffiava d’Eoo più strignente, 6
quand’i’ per crocicchi e roridi prati
di bel meriggio errando mi fermai
gli spirti a ristorar ch’eran fiaccati. 9
E dura in su le molli gramigne trovai
pender la brina e surger su le verzure,
e le gocce giocar inanti a’ miei rai. 12
Ne gli orti di Pesto e ne le sue pinture,
con che Natura ‘l mondo abbellisce,
vidi rose fiorir vermiglie e sicure, 15
allor che d’Orïente perisce
ogni stella nel ciel, se non quella sola
che Lucifero è detta e non sbiadisce. 18
Tra arbori e pruni, ove s’invola
ogni giglio, ortensia e gelsomino,
una gemma splendea sì ch’umana parola 21
non può già dir di quel bel giardino,
ch’una ad una e vie più biancheggiando
a l’òccaso lustrava e al mattino. 24
Nol dimandar, lettor, ché dubiteresti
s’a le rose ‘l color e l’aspetto divino
la concubina di Titon, qual mai vedesti, 27
sanz’altra arte tutto rapisse,
o ver ella nascendo que’ fiori onesti
del suo vermiglio e rancio colorisse. 30
Uno il sangue e uno il viso
e una a entrambe l’eclisse:
ché a le stelle e a’ fior è assiso 33
questi e quelle a guardar Amore,
Amor che m’ha più volte anciso.
Forse ancor uno è l’odore, 36
ma quel per l’etra com’aura si spande
e da la terra l’altro, qual vapore,
sale e fiata qua giù ove si prande. 39
A le rose e a gli astri insieme
Cipri donò, più che a quercia le ghiande,
la porpora, di re magnifico seme. 42
Mort’era già la fiorita stagione,
quando le erbe novelle e sceme
ad or ad ora, in schiera e ‘n girone, 45
occupate avean equali porce:
da un letto di frasche e d’un petrone
questa era coverta come la force; 48
d’un color quella tinta di corallo;
la terza, ove l’appetito più si torce,
al ciel apria la sua guglia di cristallo. 51
Spiegavan tutte le veste e’ manti
di mille trame, ch’a noverar io fallo,
né dimorâr tra loro più avanti 54
che del ridente canestro la bellezza,
del biondo croco mi scoprirno e di quanti
Natura parturì fior di tal baldezza. 57
E un di loro rinnovava le chiome
d’un foco sì che la sua chiarezza
in quel giardin corruscava come 60
ne la notte la folgore di Giove;
or pallido e smorto il suo lome,
quasi da lui consumato, le nuove 63
foglie più non mettea in questo mondo.
E io mirava, e ‘l pensier non altrove
che ‘n quel secreto ficcava sì profondo, 66
per cui vola il tempo, fugge e s’avaccia:
il fior che nato è a tutti giocondo
oh come ‘nvecchia e come agghiaccia! 69
Ecco s’è spento de la rosa favellando
il crin vermiglio qual la vernaccia,
qual la micante terra rosseggiando. 72
Tante oneste e varie e giovenili
parvenze chiude e schiude a suo dimando
la Parca che gli stami rompe sottili. 75
Oh Natura, Natura, troppo è breve
ad un fior la vita, a noi puerili
le lagrime e’ sospir, e’l dolor greve! 78
Ché tu rapisci a’ nostri occhi,
com’a fanciul che un dono riceve,
que’ che mostrasti vaghi balocchi, 81
Come un giorno, sì è lunga de la rosa
la vita: e in mille trabocchi
sorgendo ‘l sol la vede gloriosa, 84
là dove vecchia e canuta la notte.
Ma ella sa che a morir si riposa,
e in altra vivrà più altera. 87
Cogli la rosa, finch’ella è fiorita,
finché giovane sei e l’aer non s’annera:
pensa che breve a te fugge la vita. 90
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