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  • AC Scuola Montessori APS

Che professione fai? Calciatrice

di Agostino Bistarelli

membro Consiglio Direttivo AC Scuola Montessori APS

docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Statale "Maria Montessori"



Alla nostra scuola sono stati donati biglietti per una partita all’Olimpico. Non è la prima volta ma ora c’è una novità: l’incontro del 21 marzo, è Roma - Barcellona, partita dei quarti di Champions League. Ma di calcio femminile. E questo è l’anno dell’altra grande novità: il primo campionato del professionismo. In Italia, perché in altri paesi questo fenomeno è presente da anni. E quindi, se pure con ritardo, anche da noi le ragazze possono pensare ad un futuro da atlete, come scelta professionale. E’ quello che auguriamo che accada, qualora lo vogliano, anche alle nostre studentesse calciatrici, atlete agoniste di alto livello.

Però la completa equiparazione al mondo maschile è ancora lontana: si è deciso infatti di uniformare i salari minimi a quelli della Serie C maschile, ovvero 26 mila euro lordi l’anno, anche se va ricordato che sono state introdotte una serie di tutele di cui poter beneficiare in questa attività. Il contratto professionistico prevede infatti contributi previdenziali e per il fondo di fine carriera, pensione, tutele mediche per infortuni e maternità. In questo modo il professionismo consente di far fronte alle conseguenze degli infortuni prevedendo nei casi più gravi invalidità e relativa pensione. Il calcio può divenire così un lavoro a tutti gli effetti, una carriera.



Un po’ di storia

E’ un percorso che si intreccia con la Storia generale: le prime squadre femminili nascono in Gran Bretagna a fine Ottocento, quando al cambiamento dello sport come pratica sociale si accompagna il movimento per l’emancipazione della donna. E poi sarà la Prima guerra mondiale a rafforzare questa pratica sportiva: sostituendo in gran massa nelle fabbriche gli uomini che erano al fronte, le donne mutuavano anche i comportamenti delle pause o del dopolavoro formando squadre legate alle aziende. La più nota è la Dick, Kerr’s Ladies Football Club le cui giocatrici erano per la maggior parte operaie della fabbrica di Preston. Ma, come per altri settori della vita economica e sociale, con la fine della guerra e la smobilitazione degli ex combattenti si verifica il ritorno forzato alla vita domestica per le donne e così nel 1921 la Football Association vietò il calcio femminile sui campi affiliati alla federazione: la motivazione addotta era che quello sport non fosse “idoneo per le donne”. In Italia il calcio femminile cerca di organizzarsi a partire dal 1932 su spinta del Gruppo Femminile Calcistico, di Milano. A differenza delle squadre inglesi o francesi, le ragazze italiane per giocare non indossavano pantaloncini ma gonne, ed ebbero l’autorizzazione da Leandro Arpinati, il gerarca fascista che dirigeva il CONI e la FIGC, a svolgere l’attività sportiva a patto che si svolgesse a porte chiuse. E ad avere l’autorizzazione medica che doveva certificare come quella attività non pregiudicasse l’obiettivo del fascismo di costruire l’italiano nuovo. Sarà Nicola Pende, in quel momento direttore dell’Istituto di Biotipologia individuale e ortogenesi e poi dal 1937 della Sezione Eugenetica del CNR e firmatario del Manifesto sulla razza, a rilasciare l’autorizzazione con queste precisazioni: “Io credo che dal lato medico nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile”, quindi “Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!».

La storia è raccontata da Federica Seneghini nel libro Giovinette, le calciatrici che sfidarono il Duce (Solferino). Ma evidentemente la cosa era troppo disturbante per come il fascismo intendeva il ruolo della donna e quindi, a fine 1933, il calcio femminile venne vietato del tutto. La sua ripresa avvenne, con diverse tappe, dopo la fine della seconda guerra mondiale: due squadre a Trieste nel 1946, la Napoli femminile nel 1950, la costituzione, nel 1968, della Federazione Italiana di Calcio Femminile per approdare infine, nel 1986, alla Divisione Calcio Femminile all’interno della Lega Nazionale Dilettanti. In questi ultimi anni la FIGC ha coinvolto i club professionistici maschili e lanciato un piano per lo sviluppo del settore femminile che si articola in Serie A, Serie B, Campionato Primavera, Coppa Italia e Supercoppa. E ora la Federazione segue anche otto Nazionali femminili: dalla A alle giovanili (Under 23-Under 19-Under 17-Under 16) e poi quelle di Futsal (A e Under 19) e la selezione femminile di Beach Soccer. Nelle competizioni internazionali per club, all'Italia sono riservati due posti nella UEFA.



La situazione oggi e qualche dato

Questo processo ha portato, appunto, alla svolta avvenuta il 1° luglio 2022 con il passaggio al professionismo del calcio femminile. E per evitare strappi si è scelto di ridurre a 10 le squadre del massimo campionato per rendere in equilibrio l’aumento dei costi e la ricaduta economica della crescita del movimento. L’attività femminile è infatti in continua crescita: nonostante la pandemia (che ha determinato un leggera flessione del numero complessivo delle tesserate, passate dalle 31.390 del giugno 2020 alle 26.924 del giugno 2021), il trend positivo appare evidente in tutti i campi, da quello propriamente sportivo, a quello mediatico e a quello commerciale. I dati descrivono il mantenimento di pubblico tra pre e post Covid per il calcio femminile che rappresenta così una eccezione nel panorama dello sport italiano e evidenziano altresì una capacità attrattiva per la fascia di età più giovane (18-24 anni, con la crescita dal 10% al 15%). La Serie A Femminile è la competizione calcistica italiana con il più alto incremento del livello di interesse tra il 2016 e il 2019 con livelli che superano anche le medie europee. E’ significativo che il 54% dei tifosi di una squadra di calcio maschile abbia dichiarato di seguire anche la squadra femminile del proprio club.


Nella stagione sportiva 2021/22 i diritti televisivi sono passati da Sky a La7, che trasmette in chiaro, e in più TimVision continua a trasmettere tutte le gare della Serie A. L’audience registra un aumento sia in termini di ascolto che di share. Questo si riflette sull’ aumento dei ricavi dei diritti tv (del 38% rispetto al ciclo dei diritti 2019/20 e 2020/21), sul valore delle sponsorizzazioni (più 30%), sull’incremento del numero di accordi sottoscritti. Ora sono stati venduti anche i diritti tv per trasmettere la Serie A TIM, la Coppa Italia e la Supercoppa all’estero (in più di 100 Paesi, con un’audience potenziale di centinaia di migliaia di persone), nonché i diritti per trasmettere in streaming tutte le partite della Serie B.

Una ricerca condotta lo scorso anno per conto di Banca Ifis rivela che il 16% delle sportive italiane è calciatrice, con interessanti informazioni relative al profilo sociale e demografico: il confronto con la popolazione femminile italiana mostra come le donne che giocano a calcio sono più occupate, fanno più volontariato, partecipano di più ad eventi sportivi dal vivo ma soprattutto hanno una forte presenza al Sud. Mentre la percentuale di donne che vivono al Sud è pari al 47% del dato nazionale, le donne che praticano calcio e che risiedono al Sud rappresentano il 56% tra chi pratica calcio.

Buoni segnali per il futuro.

P.S. Per chi ancora non lo sapesse, la partita del 21 marzo è finita con la vittoria del Barcellona per 1 a 0, davanti a quasi 40mila spettatori: come ha titolato un quotidiano è stata La festa dell'Olimpico per Roma-Barcellona, la vittoria del calcio femminile italiano.



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