di Anita Lozzi
1A Liceo delle Scienze Umane opzione Economico-sociale
Se gli abiti potessero parlare avrebbero le voci delle donne che li indossavano quando sono state violentate. “Com’eri vestita?” è infatti una domanda che troppo spesso ricorre nelle centrali di polizia, nelle aule di giustizia facendo credere che una parte della colpa sia attribuita alla donna e all’abbigliamento magari considerato ammiccante. La colpa è della devianza di queste persone, che si sentono in diritto di compiere violenze sulla base di come si vestono le donne, pensando di sentirsi giustificati da una gonna troppo corta o una maglia troppo scollata. La società troppo spesso asseconda questo pensiero, rendendo verità assoluta una realtà in cui l’uomo sovrasta la donna. I ragazzi del nostro Istituto hanno dato voce alle sofferenze subite dalle donne; i vestiti esposti in un’aula del piano terra della sede di via Casperia raccontano storie di violenza sessuale attraverso l’abbigliamento delle vittime durante l’atto di violenza. Oltre al mettere in esposizione i vestiti di donne vittime di stupro, in breve è stata scritta la storia di ciascuna di loro, ponendo un accento sul fatto che non c’è alcuna connessione tra lo stupro e l’abbigliamento della donna, come invece erroneamente si pensa. Sono stati esposti nell’aula vestiti di tutti i tipi: da un completo elegante, ad un vestito, una tuta e perfino un uniforme. Questo progetto è stato ideato per denunciare il fatto che "non è mai una questione di provocazione, ma solo di prevaricazione maschile".

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