di Michelangelo Ricci
ex studente del Liceo Statale “Maria Montessori”
Con questo articolo inauguriamo uno spazio da dedicare alle varie forme di partecipazione attiva che si rendono sempre più evidenti nel mondo giovanile. Vi invitiamo a presentare la vostra esperienza.
Iniziamo con l’esperienza di un nostro ex studente, Michelangelo Ricci.
Le elezioni comunali di Roma si sono celebrate da qualche mese e l’esito del voto ci aiuta a comprendere quanto stia mutando in profondità il rapporto fra le persone e la partecipazione politica.
Il dato più vistoso è stato senz’altro quello dell’affluenza alle urne, mai così bassa, nonostante l’offerta politica fosse tutt’altro che carente. Erano ben quattro infatti i candidati sindaco in campo, ciascuno con buone chance di vittoria. Un ulteriore aspetto, poco evidenziato nel dibattito pubblico, che ha contribuito a rendere sui generis queste elezioni è stata la straordinaria partecipazione dei giovani, non tanto e non solo in veste di elettori ma soprattutto in qualità di candidati, sia nei consigli municipali che al consiglio comunale.
Ad esempio, nel centrosinistra sono stati quasi cinquanta gli Under30 eletti fra comune e municipi nelle istituzioni capitoline e circa il doppio quelli candidati, si tratta indubbiamente di un risultato storico.
Quando ho accettato di candidarmi in Assemblea Capitolina, il consiglio comunale di Roma, non avevo idea che avrei fatto parte di un’ondata generazionale di tali proporzioni. Penso che più di qualcuno si sia chiesto cosa spinga un ventenne ad affrontare una sfida del genere, a questo proposito credo sia utile condividere la mia esperienza personale per provare a fornire alcuni elementi di risposta. Mi sono appassionato di politica praticamente da subito e appena arrivato al Liceo Montessori ho intrapreso il cursus honorum della rappresentanza studentesca: in secondo anno sono stato eletto rappresentante di classe e poco dopo ho fondato, insieme a tre cari amici, il Collettivo Autorganizzato Montessori;
in terzo anno mi sono candidato come rappresentante d’Istituto vincendo le elezioni con la lista ConTeSta, che nasceva su iniziativa del collettivo, aveva candidati di entrambe le sedi e si aggiudicò tutti e quattro i seggi disponibili;
durante il quarto anno infine ho scelto di propormi come rappresentante alla Consulta Provinciale degli Studenti, un ruolo il cui mandato ha durata biennale e che mi ha consentito di stabilire relazioni importanti con gli studenti delle altre scuole estendendo il mio sguardo all’intero panorama delle organizzazioni studentesche romane.
A dire il vero mi sono sempre ben guardato dall’idea di circoscrivere l’impegno da attivista alle mura di scuola, al contrario ho cercato di sfruttare l'appartenenza alla rete dei collettivi studenteschi per attraversare in lungo e in largo la galassia dei movimenti romani e conoscere dall’interno le realtà più innovative della città. Nell’estate del 2016, all’alba del mio ultimo anno di liceo, ho assistito da vicino alla nascita di quella che oggi è la più grande redazione Under25 d’Italia con sedi a Roma, Napoli, Torino e Milano: la rivista “Scomodo”.
Scomodo aveva innescato nei primi anni del progetto una massiccia mobilitazione giovanile volta alla denuncia della condizione di abbandono di numerosi edifici, pubblici e privati, con l’obiettivo di rigenerarli temporaneamente attraverso eventi artistici e musicali.
L’idea delle “Notti Scomode” era quella di dare nuova vita per una notte ad uno spazio dismesso, così da mostrarne il potenziale inespresso e conseguentemente denunciare la carenza di luoghi di aggregazione per i giovani.
In quegli anni ho capito due cose: che Roma poteva e può essere tuttora un enorme laboratorio di sperimentazione civica, sociale e culturale, e che l’idea di politica con cui ero cresciuto, quella che i compagni più grandi con cui avevo fondato il collettivo mi avevano trasmesso, non coincideva con i tempi che stavo vivendo. Storicamente i canali dell’attivismo giovanile sono stati sostanzialmente due: quello istituzionale legato ai sindacati studenteschi e alle organizzazioni giovanili di partito e quello extraistituzionale rappresentato dai collettivi.
Per ragioni diverse entrambi nell’ultimo decennio hanno mostrato i limiti della partecipazione intesa in senso “tradizionale”.
Le giovanili hanno subito il contraccolpo della crisi di fiducia che ha travolto i partiti al livello generale, mentre il mondo dell’autogestione, che va dai collettivi autorganizzati ai centri sociali, non è stato sufficientemente capace di rinnovare i suoi temi e le sue modalità di azione.
Io stesso negli anni del liceo mi sono spesso interrogato sul senso di alcune liturgie, come le mobilitazioni in autunno e la calma piatta in primavera, le discussioni accese nelle ore del Comitato Studentesco e quelle minime dell’Assemblea d’Istituto (da riempire quindi con ospiti e conferenze), la capacità di innescare mobilitazioni sempre e soltanto contro qualcosa da contestare e la difficoltà di costruire il consenso intorno a progetti da costruire.
A nostro modo provavamo ad innovare queste tradizioni, un esempio eclatante fu l’occupazione del 2014 compiuta con il consenso trasversale degli studenti e dei genitori ed impiegata per ridipingere le pareti dell’istituto con i colori, i messaggi e le scritte che più sentivamo nostre.
Era un modo per dire che la scuola non era nostra soltanto per una settimana, ma che doveva esserlo sempre.
Al netto di queste iniziative però, riuscivamo a volgere lo sguardo al di fuori del nostro istituto soltanto quando seguivamo un po’ per inerzia gli appuntamenti delle manifestazioni studentesche, che si presentavano con cadenza fissa e quasi sempre sugli stessi temi.
Il vento d'oltreoceano giunto con le mobilitazioni internazionali per il clima degli ultimi anni e con il ritorno della questione di genere al centro del dibattito pubblico ha contribuito invece a mutare le battaglie e la sensibilità dei più giovani. Alla luce di queste trasformazioni, due anni fa ho deciso di mettermi in gioco, sperimentando un nuovo terreno di attivazione.
Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 ho riunito un gruppo di ragazzi che avevo incontrato nel mio percorso di attivismo, prima studentesco negli anni del liceo e poi socio-culturale con l’esperienza di Scomodo, per creare il progetto “4hopes4Rome”. L’idea era quella di mettere in piedi una rete giovanile “di lotta e di governo”, capace di inserirsi nelle mobilitazioni collettive, ma anche di declinare i grandi temi a livello cittadino attraverso proposte concrete.
I temi che avevamo identificato nelle nostre quattro speranze erano quelli dell’ambiente, dell’uguaglianza di genere, della rigenerazione degli spazi abbandonati e della cultura diffusa nei territori. Su queste basi abbiamo costruito una visione generazionale della città, di cui ci siamo fatti portavoce in prima persona quando è arrivata la scelta di candidarci alle elezioni.
Ben presto abbiamo intuito di non essere gli unici a valutare questa via, moltissimi altri giovani infatti hanno sentito la necessità di riportare le grandi questioni del nostro tempo ad una forma di impegno locale, concreta, vicina alla quotidianità delle persone.
Nel nostro caso lo abbiamo fatto per vicinanza di idee, ma con una buona dose di cinismo, dove abbiamo trovato più spazio cioè con Sinistra Civica Ecologista a sostegno di Roberto Gualtieri.
Con questa lista ho deciso di affrontare la corsa al Comune, senza aver mai fatto parte di alcun partito, senza avere supporto “dall’alto” alle spalle, senza finanziamenti economici, usufruendo come unica base operativa di Spin Time Labs, uno spazio aperto e rigenerato dalla cittadinanza.
Nonostante le cinquecentocinquantacinque preferenze abbiano rappresentato per me un esito gratificante, non sono state abbastanza.
Il gruppo a cui ho dato vita però, cioè 4hopes4Rome, ha eletto ben quattro consiglieri in tre municipi diversi (VIII, XIII e XV), un risultato niente affatto scontato per una realtà appena nata di under25.
Per un mese breve ma decisamente intenso abbiamo animato la campagna elettorale improvvisando comizi notturni nelle zone della movida, riqualificando temporaneamente aree degradate, sperimentando nuovi linguaggi e insistendo proprio sui temi che in questi anni ci hanno contraddistinto.
Ciò che molte persone della mia età hanno capito è che le elezioni non sono un tabù, né qualcosa di necessariamente noioso, bensì uno strumento al pari di altri per mettere in moto energie, disegnare progetti, e costruire legami umani. Il passo dalle elezioni d’istituto a quelle comunali può essere più breve di quanto si pensi, l’unica condizione è non rinunciare mai ad attivarsi per raggiungere il proprio obiettivo.
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