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AC Scuola Montessori APS

Lo sport è di tutti e tutte

di Marta Fioravanti e Beatrice Tarquini

5B Liceo Linguistico


La storia dell’Afghanistan è sempre stata tormentata e tra i momenti che più hanno danneggiato questo territorio troviamo il fenomeno dei talebani. Il movimento dei talebani inizia nelle scuole (“talebano” significa “studente”), diventando poi qualcosa di molto più grande fino a quando conquistarono Kabul nel 1996 e rimasero al potere per i successivi 5 anni fino a che il loro governo venne rovesciato dall’intervento americano a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre. Sotto il loro regime la figura femminile venne cancellata. Alle donne venne proibito di ridere, di lavorare, di frequentare la scuola. Era loro proibito rivolgere la parola ad un uomo e tanto meno guardarlo negli occhi e stringergli la mano. Vennero chiusi i bagni pubblici femminili e alle donne venne proibito di andare in bicicletta e praticare alcun tipo di sport.


Tra tanto orrore, vi erano anche forti sacche di resistenza quali alcune scuole clandestine in cui si continuava a far studiare le bambine. Molte ex insegnanti, a costo della propria vita, organizzarono infatti scuole autogestite, allestite nei sotterranei dei palazzi, oppure nelle case. Le lezioni venivano tenute ad orari diversi, per non insospettire i Talebani ed i libri venivano impacchettati di modo da sembrare pacchi della spesa. In caso di irruzione dei Talebani, le persone presenti iniziavano a pregare in coro fingendo di recitare il Corano. Alcune volte andava bene ma tante persone persero la vita per cercare di non abbandonare del tutto il sogno di una vita normale.


Intanto il movimento di Al-Qaeda installò in Afghanistan la base per la sua rete terroristica rendendo ancora più tesi i rapporti con gli USA. Questa tensione culminò l’11 Settembre 2001, con il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York, rivendicato dall’organizzazione di Bin Laden.


Il 7 ottobre 2001 inizia ufficialmente la guerra tra USA e Al-Qaeda, e il 13 novembre dello stesso anno il regime talebano è rovesciato e viene istituito un nuovo governo appoggiato dai maggiori paesi occidentali.


Con la caduta del regime talebano vennero ripristinati tutti i diritti negati alle donne quali quello al voto, allo studio ed al lavoro. Le bambine poterono tornare a scuola indossando, come divisa ufficiale, l’abito nero e l’hijab bianco mentre il burqa venne definitivamente abbandonato. Il 26 gennaio del 2003, a Kabul, 28 donne presero la patente. La situazione migliorò sensibilmente rispetto agli anni precedenti anche se solo nelle aree urbanizzate mentre la vita nelle zone rurali era comunque condizionata dall’impronta patriarcale della società tradizionale.


Il 15 agosto 2021, quando inizia il ritiro definitivo delle truppe NATO dall’Afghanistan, il Paese è tornato ad essere governato dai Talebani che entrano a Kabul con l’intenzione di sostituirsi al governo del presidente Ashraf Ghanì e senza alcuna resistenza prendono il suo posto. Mentre il presidente lascia il paese, i soldati afghani non riescono a contrastare l’avanzata dei Talebani.


Oggi, dunque, l’Afghanistan è sotto il governo dei nuovi talebani che stanno venendo allo scoperto con il passare dei giorni.


Diritto dopo diritto stanno spogliando le donne del loro presente e soprattutto del loro futuro. Dopo le stringenti regole imposte alle ragazze che vogliono continuare a studiare nelle università private afghane, è arrivato il divieto assoluto di sport. Le donne possono uscire di casa solo “per motivi essenziali come fare la spesa”. Lo sport non è ritenuto essenziale, quindi non sarà permesso.


L’obiettivo principale di tutti e tutte è solo quello di fuggire dal Paese e le immagini delle strade piene di gente disperata e persone aggrappate agli aerei pur di scappare hanno fatto il giro del mondo.



Tra le persone che sono arrivate in Italia noi abbiamo avuto l’opportunità di incontrare e conoscere tre ragazze giocatrici di calcio insieme con il loro allenatore, che erano presenti, oggi 15 novembre 2021, alla “Partita della parità e del rispetto” organizzata dall’Uisp in collaborazione con Amnesty International allo Stadio Fulvio Bernardini di Pietralata, Roma.

Poche domande e poche parole, qualche foto, ma riprese di spalle, perché la paura è molta e anche in Italia ancora non si sentono al sicuro.



Come vi chiamate e quanti anni avete?

“Mi chiamo Maryam e ho 23 anni, io sono Susan e ho 21 anni, e io sono Fatima e ho 19 anni.”


Come siete riuscite ad arrivare in Italia?

“Vivevamo a Herat, una città dell’Afghanistan occidentale, siamo riuscite a spostarci via terra e ad arrivare a Kabul, dove abbiamo trovato persone che ci hanno aiutato a uscire dall’Afghanistan. È stato molto pericoloso ma siamo contente di essere arrivate in Italia. Ringraziamo tutti.”


Avete ancora parenti in Afghanistan?

“Si la maggior parte dei nostri parenti sono bloccati in Afghanistan.”


Come state vivendo in Italia?

“Per il momento siamo presso un centro di accoglienza a Firenze, la maggiore difficoltà che stiamo vivendo è la lontananza dalle nostre famiglie e l’assenza di notizie.”


Quali sono i vostri desideri per il futuro?

“Vorremmo studiare, andare all’Università. E continuare il nostro sport.”


Com’era la realtà dello sport femminile in Afghanistan?

“Avevamo tanti problemi, soprattutto perché anche la gente comune non era abituata a vedere una donna che gioca a calcio, ma noi non ascoltavamo i loro giudizi e continuavamo a giocare. La nostra intenzione principale era essere un esempio, aprire la strada dello sport ad altre donne. Ovviamente uno dei primi provvedimenti del governo talebano è stato di vietare alle donne di praticare sport perché giudicato non necessario e inappropriato.”


L’incontro con queste coraggiose ragazze, che nella loro sfortuna sono state più fortunate di altre, ci ha profondamente toccato e crediamo di poter imparare tanto da loro. Ad esempio, di come una passione possa diventare un atto di ribellione e affermazione, il motore di un cambiamento in ambito sociale e politico, una forma di attivismo per difendere i propri diritti, per difendere la propria identità e le proprie scelte.


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