di Stefano Mingarelli
docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Statale "Maria Montessori"
di Francesco Martiello
5C Liceo delle Scienze Umane . opz. Economico/Sociale
E’ entrata nella storia come la prima canzone sul tema del femminicidio, una canzone che è stata protagonista della rivoluzione sessuale in Italia. Sicuramente, nel fosco del suo testo noir, è testimone, tra tante espressioni artistiche e letterarie di un periodo, gli anni ’70, in cui la canzone d’autore aveva un ruolo che ora pare essere scomparso.
Il testo di Lella è stato scritto da uno dei più importanti cantautori italiani: ha pubblicato venti Long Playing, è stato autore di testi anche per Dalla e De Gregori (basti ricordare La casa di Hilde per Francesco De Gregori e Sulla rotta di Cristoforo Colombo per Lucio Dalla), ha prodotto dischi di Sergio Endrigo, Amedeo Minghi e un capolavoro come Alice non lo sa di De Gregori, ha fondato il gruppo di etno-folk Schola Cantorum.
Lui è Edoardo De Angelis, che ha accettato molto volentieri di parlare con noi, grazie all’intermediazione di un amico, Fabrizio Emigli, anche lui cantautore e “custode” della tradizione cantautorale romana, figlia del Folk Studio.
S. M.: De Angelis, lei è riconosciuto come uno dei più importanti cantautori italiani, ha scritto testi capaci di rinnovarsi nel tempo, ha collaborato con artisti come De Gregori, Dalla, insomma nomi molto importanti, in un periodo in cui i cantautori avevano un ruolo indiscusso nel dibattito culturale italiano. Era da tempo che pensavamo di fare una chiacchierata con lei, pensando a cosa abbiano rappresentato quei tempi e a come pensa che sia cambiato il rapporto tra artista e società.
Secondo Lei, è solo una sensazione oppure è vero che la canzone d’autore aveva un peso che oggi non ha più?
E.d.A.: Quando io cerco di imitare il mestiere del docente e incontro i ragazzi nei licei e nelle università, naturalmente inizio a rappresentare il tema della canzone d’autore dal punto di vista storico. La storia della canzone d’autore la facciamo partire dal 1958, quando Modugno portò a Sanremo “Nel blu dipinto di blu”. Naturalmente, anche prima c’erano artisti e cantautori che scrivevano e cantavano, popolari all’epoca, ma molto meno conosciuti oggi, come Fred Buscaglione o Renato Carosone. Però, dal punto di vista storico, noi facciamo partire la nuova canzone d’autore italiana nel 1958; in quel momento, c’erano i discografici che avevano già nel cassetto canzoni di Luigi Tenco, Gino Paoli, e non le facevano ancora uscire perché, giustamente, non ritenevano i tempi maturi per ascoltare un tipo di canzone che non fosse quello della canzone italiana storica, rappresentata molto bene da moltissimi artisti, come Claudio Villa, Achille Togliani, Natalino Otto.
Tuttavia, nel 1958, Domenico Modugno era uno studente di cinematografia arrivato a Roma dal Sud e per mantenersi gli studi cantava nei locali canzoni di carattere popolare, ed a un certo punto, entrato in contatto con parte dell’industria attraverso i provini che faceva, insieme a Franco Migliacci scrisse la canzone divenuta celebre “Nel blu dipinto di blu”. Quindi Modugno presentò quella canzone a Sanremo come autore ma nessuno volle cantarla, perché era troppo diversa, anticonvenzionale… anche dal punto di vista tecnico-musicale aveva scala discendente nel ritornello che era inaudita per quei tempi. Dunque fu costretto a cantare egli stesso la sua canzone, e da quel momento è iniziata la rivoluzione della canzone d’autore.
Ho fatto questo preambolo perché lei ha parlato dei tempi: i tempi cambiano ogni anno, ogni giorno, ogni minuto. Dunque in quegli anni, nella metà degli anni ’60, dopo il successo di Modugno, i discografici iniziarono a far uscire dai cassetti qualche canzone. Un esempio storico è la famosa canzone di Gino Paoli “La Gatta”. Il discografico Giovanni Ricordi, una volta pubblicata questa canzone, la ritirò dopo un mese perché non vendeva, dopodiché ci fu un esplosione di attenzione intorno a nuove tendenze, quindi dopo sei mesi la ripubblicò ed ebbe un successo clamoroso.
Dunque i tempi cambiano, le tendenze cambiano, le attenzioni cambiano, arrivò il ’68 e sotto l’influenza di ciò che arrivava dalle università americane, anche da noi si affermò il genere cantautorale così come lo conosciamo, anche se poco prima c’erano stati degli esempi mirabili come Luigi Tenco o Sergio Endrigo, con testi a volte assolutamente non convenzionali che venivano assorbiti dalla coscienza popolare oltre che dal mercato. Fu dalla fine degli anni ’80 che iniziò un reflusso culturale che fu controllato con il monopolio dei media da parte di un privato… tutto ciò si tradusse presto in politica e avemmo vent’anni di sacrificio in tal senso.
F.M.: Oggi gli adolescenti seguono un genere predominante, che possiamo riconoscere o nella Trap o nel Rap, i cui testi parlano spesso di disagio sociale; c’è un collegamento con la canzone d’autore? Si tratta di un’evoluzione?
E.d.A.: Dal mio punto di vista un’evoluzione non direi. Tra gli artisti che mi influenzano di più, i miei punti di riferimento sono Caparezza o, al limite, Anastasio. Quando mio figlio mi parla della maggior parte degli artisti di oggi, confesso che faccio fatica ad ascoltare le loro canzoni, anche perché mi sembra che, dal punto di vista musicale, ci sia un’assoluta uniformità, che usino le stesse tecniche. Comunque io non sono in grado di giudicare questo tipo di prodotti perché è molto lontano dalla mia forma di conoscenza. La gran parte di noi era ispirata dalla letteratura, Vecchioni e Guccini diventeranno insegnanti, pensiamo anche a De André.
S. M.: Si può parlare ancora di una scena o una rete di cantautori romani “underground”, di un sottobosco cantautorale?
E. d. A.: So che naturalmente ci sono ancora cantautori romani, però io non frequento quella scena, devo dire che se devo scegliere, i miei riferimenti attuali sono tutti cinquantenni, come Dario Brunori, Caparezza, Niccolò Fabi. Ricordo che due anni fa Brunori vinse diversi premi, tuttavia, ascoltando la sua produzione, se non vi fosse stato De Gregori o De André, lui non ci sarebbe stato, come noi probabilmente non ci saremmo stati senza Cohen, Dylan o Brassens.
F. M.: Una delle sue canzoni più note, se non la più nota, è “Lella”. A tal proposito volevo chiederle se, nello scrivere il testo, si è ispirato ad un avvenimento realmente accaduto.
E. d. A.: Assolutamente no. Diciamo che “Lella” ha avuto una genesi un po’ particolare, l’abbiamo scritta Stelio Gicca Palli ed io, eravamo sui banchi dell’università, ex compagni di scuola e suonavamo insieme. “Lella” è stata il classico colpo di fortuna del dilettante, nel senso che è stata scritta non pensando assolutamente di fare questo mestiere. Cantavamo per gioco nei teatrini la sera e, grazie alla grande ricerca di cantautori da parte dei discografici che c’era in quel momento, venne precipitata immediatamente sul mercato, prima bocciata dalla censura, poi interpretata da molteplici artisti, oggi tradotta anche in vari dialetti.
F. M.: Quindi, leggendo il testo della canzone, c’era uno scopo oltre la musica?
E. d. A.: No, non c’era alcuno scopo. Probabilmente la storia viene fuori da alcune letture (perché il testo è mio) che facevo in quel periodo, parlo di Pasolini, Gadda, parlo di ambienti periferici romani, di vita di sottobosco insomma. Quindi non c’era un riferimento sociale specifico, poi i giornalisti ci hanno messo di tutto, e va bene così, perché, in fondo, una canzone è come una poesia, viene scritta con un intento, poi chiunque l’ascolti ci mette il proprio sentimento.
S. M.: Vorrei stuzzicare il suo piglio etno-antropologico, Lei è stato uno studente di Etnologia. Visto che la canzone (Lella) si è ritrovata ad essere protagonista di un tema affrontato dalla società attuale, molti artisti e artiste l’hanno riproposta proprio per sollevare un problema che adesso sembra essere recrudescente, ovvero quello del femminicidio, Lei pensa che sia la stampa, quindi l’opinione pubblica, ad essersi sensibilizzata su un problema in crescita o che sia un problema sempre esistito così?
E. d. A.: Credo che il problema ci sia sempre stato, penso che oggi sia più segnalato ed abbia una frequenza di comunicazione ed esposizione diversa, più alta, perché con l’evoluzione dei tempi e l’evoluzione sociale della donna, essa abbia suscitato in questo immaginario “maschio mediocre” che fa violenza un disguido, un cattivo equilibrio rispetto a prima, quindi delle reazioni. Se pensiamo al fatto che in alcune società dell’Africa o dell’Est, vi siano delle realtà matriarcali, come altrove la donna non goda affatto di alcun diritto, allora sì che può essere considerato un problema etno-sociologico.
Prima, la donna nella nostra società non aveva voce in capitolo, nel momento in cui comincia ad avere voce in capitolo, “disturba” quelli che soffrono il fatto che la donna abbia voce in capitolo. Quindi, probabilmente, la recrudescenza di cui lei parla, essendo più segnalata, diventa un disagio sociale, dal momento in cui alcuni uomini non sopportano l’evoluzione di una parità della donna.
Per l’esperienza che ho avuto dell’universo femminile, forse sono stato fortunato, posso dire che la Donna sia un essere per molte sue virtù, superiore all’Uomo, ha mediamente una sensibilità maggiore, coraggio diverso. Anche in politica, le donne sono mediamente più oneste, delle amministratrici migliori. Come il discorso delle immigrazioni, quello della donna è un processo evolutivo inarrestabile.
Nel Link, Edoardo De Angelis e Stelio Gicca Palli, “Lella” video del 6 novembre 2019:
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