di Andrea Fundarò
ex studente Liceo Classico
Molto si è ragionato negli scorsi mesi, dopo l’attacco di Hamas del 7 di ottobre, di un’onda di antisemitismo che avrebbe inghiottito come una Cariddi il mondo intero, e fatto riaffiorare nella memoria, da lei ancor temprata, la tragedia della Shoah. Questa impostazione non considera che dal Sionismo differisce il giudaismo, perché quello non è che il frutto del romanticismo e nazionalismo ebraico del XIX secolo, di che s’inebriò nella composizione della sua Altneuland Theodor Herzl (1860-1904); né avendo alcun riguardo sul fatto che gli Arabi e i Siriani, nella medesima guisa degli Ebrei, sono tutti popoli semitici. Nondimeno la stampa occidentale non vuole fare menzione del timbro con cui è impregnata la propaganda messianica e linguistica del Sionismo: scopo di queste righe è mettere in evidenza, attraverso una comparazione con quella adoperata nella Prima Crociata, la retorica che molto condivide con essa tra la forma e il contenuto. Utilizzato dal Primo Ministro d’Israele Netanyahu e da Itamar Ben-Gvir, presidente del partito Potere ebraico e Ministro della Sicurezza Nazionale, questo discorso radica discriminazione se non odio, nelle famiglie e nelle scuole israeliane, e che la violenza nel corso del tempo coltiva. Si sottolinea come Israele venga definita come l’unica democrazia in quell’area del mondo, ma si dimentica che alcuni istituti legislativi sono riservati solo a cittadini ebrei e che quindi questi loro diritti sono negati alla popolazione araba, come quelli nel campo dell’educazione o della cittadinanza (vedi da ultimo la Legge sullo stato-nazione del 2018): queste forme di discriminazione incidono anche sul racconto del passato, come quella definita Legge sulla Nakba, che proibisce a gruppi o scuole che ricevono fondi governativi di commemorare la Nakba (o Catastrofe) cioè la campagna del 1948 contro i palestinesi durante la fondazione dello Stato. E’ troppo avvicinare questi temi e contenuti di oggi (cfr. il discorso di Netanyahu del 25 e del 28 ottobre) a quelli pronunciati durante il concilio di Chiaromonte, cioè alla Prima Crociata e a dire d’una guerra tra il bene e il male, la luce e la tenebra, la vita e la morte . Le parole non mentono: nella confusione delle genti, con le quali i cronisti delle crociate, tra cui Roberto di San Remigio, Fulcherio di Chartres e Guglielmo di Tiro chiamano gli infedeli, talora appellandoli Persiani, ora Turchi, Saraceni e Arabi, un tratto nondimeno spicca sopra agli altri, che li accomuna: il sudiciume (foeditas, inquinare, immundus, immunditia, sordidare, spurcitia, polluere), la ignoranza (Deum ignorantes) e la violenza (ferrum, rapina, incendium, depopulare, nex miserabilis, nefanda mulierum constupratio, violenta tyrannis, canes, daemonij, tormenta, humiliare, vexare), che usano nella Terra Promessa, appannaggio del popolo eletto d’Israele, là dove corrono latte e miele copiosamente, e la terra abbonda d’ogni frutto: un paradiso meraviglioso e idilliaco, ben lontano dalla realtà geografica, essendo la Palestina, come la Cananea, principalmente arida e sterile. Gli infedeli violano le chiese, circoncidono i Cristiani e col sangue della circoncisione bruttano i santi lavacri, stuprano le donne, non risparmiando neppure le vergini, massacrano e tormentano gli innocenti, cavandogli dal ventre le viscere e sospendendole sopra gli stipiti delle porte, come i miliziani di Hamas avrebbero rimosso col ferro i feti dal grembo delle madri (cfr. le parole dell’ex ambasciatore d’Israele in Italia, Dror Eydar, tra il 25 e il 28 ottobre): un lessico della selvatichezza e fierezza di queste genti che si ripete nei secoli dei secoli. Dall’un canto i cavalieri di Cristo, con la croce cucita sulla maglia e dipinta sugli scudi, e l’IDF, le Forze di Difesa d’Israele, moralmente irreprensibili (e guai a chi osi dire il contrario!); dall’altro il male assoluto, la doctrina pestilens Mahumethi che bisogna svellere, un popolo di barbari, bruti e animali che non sono degni della terra, nella quale hanno da quasi duemila anni la propria stanza, che non conoscendo la Verità e Dio sono reputati inferiori: insomma, chi non era allora un cristiano, chi non è oggi un ebreo sionista deve pagar con la vita sua e della sua famiglia questo scotto. Una retorica bipolare, che non contempla ciò che le è diverso, né le mille sfumature della storia e si arma della Bibbia per giustificare e legittimare l’espropriazione delle terre e l’esodo forzato dei Palestinesi (nakba), la colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, la distruzione sistematica della Striscia di Gaza: nei citati discorsi, Netanyahu allega quel passo dell’Antico Testamento, ove il profeta Samuele invita Saul a sbaragliare gli Amaleciti, una tribù nomade arabica che abitava il deserto del Negeb (1 Sam. 15,3: Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti,
buoi e pecore, cammelli e asini). La memoria collettiva di una nazione spunta e germoglia sempre nutrendosi di miti e leggende, perché le sue radici non sono abbarbicate nella storia, ma in una favolosa protostoria e spesse volte nella metastoria, cioè in quei valori assoluti e immortali che viaggiano nei secoli, resistendo al logorio del tempo e alla natura transeunte delle vicende umane: ora, gli Israeliani innestano e accomodano questa memoria al mito del Regno d’Israele, che gli storici e archeologi israeliani hanno dimostrato non essere mai esistito, in quanto il regno di David comprendeva solamente Giuda e non si estendeva, ben oltre la Terra Promessa, dal confine egiziano all’Eufrate, come si trova scritto nella Bibbia (cfr. la stele di Tel Dan, in aramaico, che fa menzione di una Casa di David a Giuda); avendo scavato a Gerusalemme, non vi hanno rinvenuto altro che focolari di nomadi nello strato datato al 1000 a.C., durante il Regno di David; il che troviamo confermato già a cavallo tra la prima e la seconda metà del XIII secolo a.C. dalla stele di Merenptah (1246-1239 a.C., secondo la cronologia di Mazzarino), nella quale, oltre alla vittoria degli Egizi sopra i Libu e i Mashuash in Libia, è riportata la spedizione contro gli ysrir della terra di Canaan, da identificarsi con gli Israeliti, che sono presentati come un popolo nomade e non sedentario.
La memoria protostorica e mitica d’Israele vanta, già in numerosissimi luoghi del Pentateuco e dei Neviìm, o Profeti anteriori, una retorica del malicidio, imitata e riecheggiata dalla Laus novae militiae ad milites Templi di Bernardo di Chiaravalle, che è il manifesto non solo dell’Ordine dei Cavalieri Templari, ma ancora dello spirito, della teodicea e della giurisprudenza delle Crociate: Sane cum occidit malefactorem, non homicida, sed, ut ita dixerim, malicida, et plane Christi vindex in his qui male agunt, et defensor Christianorum reputatur (III, 1). Quando [il cavaliere di Cristo] uccide un malfattore, egli non è un omicida, ma, dirò così, un malicida, cioè il vendicatore di Cristo contro coloro che commettono scelleratezze, ed è considerato il difensore dei Cristiani. Onde procede che colui il quale uccida un infedele, non solo non si macchia di omicidio, ma viene ancora premiato per aver sradicato il male dal mondo, ricevendo una caparra per la vita eterna. Certo, tra la praxis e la theoria v’è spesse volte di mezzo il mare, e non tutto quello che i teologi cristiani hanno messo in iscritto è stato eseguito dai fedeli: ma si sono conservate due testimonianze, l’una cristiana, e l’altra ebraica, che ci informano della crudeltà ed efferatezza con la quale i cavalieri di Cristo irruppero nella Terra Santa, facendo carneficina non già solamente di musulmani, ma ancora di ebrei: il Gesta dei per Francos di Guiberto di Nogent, e la Cronaca di Solomon bar Simson, nella quale leggiamo: In questo periodo gente arrogante dalla strana parlata, un popolo aspro e impetuoso di Francesi e Tedeschi, partì per la Città Santa, che era stata profanata da nazioni barbare. Accadde ora che mentre passavano per le città dove abitavano gli Ebrei, si dissero l’un l’altro: Ma senti, facciamo un viaggio così lungo per cercare l’altare profano e per vendicarci sugli Ismailiti, quando qui, proprio in mezzo a noi, ci sono gli Ebrei, quelli i cui progenitori uccisero e crocifissero Gesù Cristo senza motivo alcuno. Vendichiamoci di loro prima, cancelliamoli dalle nazioni, così che il nome di Israele non sia più ricordato o permettiamogli di adottare la nostra fede e riconoscere la discendenza della promiscuità.
Questa gratuita violenza, questo odio, livore, astio e vendetta noi vediamo tutto il giorno esercitare per mano del governo d’Israele contro i Palestinesi, e per mano di Hamas contro gli ebrei: si arrogano il vanto e il diritto di sterminarli o almeno cacciarli dalle loro naturali sedi, incalzandoli e spingendoli verso il deserto del Sinai a soffrir la fame e la sete e a morire di stenti, nonché la missione, affidatagli dal loro Dio, di cancellarli dalla faccia della terra per amore dell’umanità, che altrimenti, col loro brulicare, ne rimarrebbe corrotta e contaminata, quasi che essi fossero un miasma da purificare.
“Proprio come gli Stati Uniti non hanno detto sì a un cessate il fuoco dopo Pearl Harbor e dopo gli attacchi dell’11 settembre, Israele non cesserà le ostilità con Hamas dopo gli orribili attacchi del 7 ottobre. La richiesta di un cessate il fuoco sono le richieste di far arrendere Israele alla barbarie, ad Hamas, al terrorismo: e questo non succederà! Signore e signori, la Bibbia dice che c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra [Qoelet, 3, 8]: questo è il tempo della guerra, una guerra per un futuro comune. Oggi tracciamo una linea tra le forze della civiltà e le forze della barbarie: è il momento che tutti decidano da che parte stare: Israele sarà contro le forze della barbarie, fino a quando non raggiungeremo la vittoria. Spero e prego che i paesi civili in tutto il mondo vogliano sostenere questa guerra, questa battaglia, perché la battaglia di Israele è la vostra battaglia: perché se vince Hamas, se vince il male, sarete voi il prossimo obiettivo. Israele continuerà a combattere fino a quando non vincerà questa battaglia, e vincerà!” (traslitterazione del discorso di Netanyahu del 31 ottobre 2023).
コメント